All’autore del terzo Vangelo dobbiamo non solo un testo, ma due: il Vangelo di Luca e gli Atti degli Apostoli. Luca è un narratore colto ed eloquente, che con le sue due opere attraversa un arco che va dagli inizi della storia di Gesù fino alla nascita della Chiesa.
Traduzione dal tedesco: Italo L. Cherubini
Chi, non conosce queste storie: le parabole del Buon Samaritano o del Padre misericordioso, la storia della nascita di Gesù nella stalla di Betlemme o quella dei due discepoli sulla strada per Emmaus? Sono testi che dobbiamo al terzo evangelista, che la tradizione ecclesiastica chiama Luca e che probabilmente ha scritto il suo libro negli anni 80-90 d.C. In confronto agli altri Vangeli è difficile da stabilire con precisione dove questo testo sia stato scritto, forse in Grecia o in Asia Minore, o forse in Siria o addirittura a Roma.1
Come Matteo, anche Luca conosceva il Vangelo di Marco e lo ha preso come modello per il suo lavoro. Tuttavia, lo ha completato: così, a differenza di Marco, inizia la sua opera con le storie della nascita e pone la storia della nascita di Giovanni Battista accanto a quella di Gesù. Parallelamente a questo, prima si racconta la promessa della nascita del Battista a Zaccaria (Vangelo di Luca 1,5-25) e poi la promessa della nascita di Gesù a Maria (1,26-38). Accanto alla storia della nascita del Battista (1,57-66) c’è la storia della nascita di Gesù di cui sopra (2,1-21). Nel mezzo, le due donne incinte Elisabetta e Maria si incontrano e Maria pronuncia il suo profetico e potente «Magnificat» (1,46-55). Anche il «Benedictus», che come il Magnificat troviamo ancora oggi nella Liturgia delle Ore della Chiesa, proviene dal racconto dell’infanzia del Vangelo di Luca: è l’inno di lode di Zaccaria, il padre di Giovanni Battista, in occasione della nascita del figlio (1,67-80). Le storie dell’infanzia all’inizio del Vangelo di Luca includono anche la storia dell’incontro dei genitori di Gesù e del loro bambino con l’anziano Simeone e la vecchia profetessa Anna nel Tempio di Gerusalemme (2,22-40), così come la storia di Gesù dodicenne che, in pellegrinaggio a Gerusalemme, non torna a casa con i suoi genitori, ma discute nel Tempio con gli intellettuali del suo tempo (2,41-52).
Luca ha completato anche il finale del Vangelo di Marco. Mentre il Vangelo di Marco si concludeva originariamente con la scoperta del sepolcro vuoto (Vangelo di Marco 16,1-8), Luca racconta anche altre storie pasquali, come quella dei due discepoli in lutto che incontrano il Signore risorto sulla via di Emmaus (Vangelo di Luca 24,13-35), un’apparizione pasquale davanti al gruppo di discepoli e discepole a Gerusalemme (24,36-49) e l’ascensione di Gesù in cielo (24,50-53), con cui l’opera termina.
Ci sono anche aggiunte significative nel corso del lavoro. Come Matteo, anche Luca aveva a disposizione la raccolta delle parole di Gesù, da cui ha tratto testi importanti come il Padre Nostro (11,2-4) o la parabola del lievito (13,20-21). Luca non ha un «Discorso della montagna» come in Matteo, ma ha un «Discorso del campo» che, come il Discorso della montagna, inizia con le Beatitudini e contiene testi impegnativi come l’invito ad amare i propri nemici (6,20-49).
Parabole tipiche del Vangelo di Luca sono il Buon Samaritano (10,25-37) o la vedova importuna (18,1-8); storie tipiche sono quelle di Maria e Marta, presso le quali Gesù è ospite (10,38-42), o del capo esattore delle tasse Zaccheo, a casa del quale Gesù si autoinvita e che, dopo l’incontro con Gesù vede la sua vita sconvolta e comincia a fare ammenda per il male che ha fatto (19,1-10).
Venuto a cercare e salvare ciò che si è perduto
Ancora più degli altri evangelisti, Luca ci presenta un Gesù che si rivolge a chi si è perduto. Questo è spiegato particolarmente nella frase che Gesù dice nell’incontro con Zaccheo:
«Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.» (Vangelo di Luca 19,10)
Non è senza ragione che Maria, già nell’incontro con Elisabetta, canti nel suo potente Magnificat, ciò che sta accadendo nel nuovo mondo di Dio e che inizia con la nascita di Gesù: i potenti sono rovesciati dal trono e gli umili sono esaltati, i poveri ricevono doni e i ricchi vanno via a mani vuote (1,52-53). Non per niente in Luca sono i pastori, gli emarginati della società di allora, a venire a conoscenza per primi della nascita di Gesù e a capire ciò che sta accadendo (2,8-20).
Alla prima apparizione pubblica di Gesù, che secondo il Vangelo di Luca avviene nella sinagoga di Nazareth, si chiarisce, sulla base di una citazione scritturale del libro di Isaia, che Gesù è un Messia che viene inviato prima ai poveri e a chi si è perso:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore.» (Vangelo di Luca 4,18-19)
Luca ha deliberatamente scelto proprio questa citazione di Isaia 61,1-2 e 58,6 per presentare Gesù, fin dall’inizio del suo libro, come colui che per primo si rivolge ai poveri, ai prigionieri e ai malati, alle persone disabili o indebitate. Possono tirare un sospiro di sollievo e gioire, persino ritenersi beati, come affermano le Beatitudini (6,20-23).
Un nuovo inizio diventa possibile
Secondo Luca, anche i peccatori e le peccatrici appartengono a chi si è perduto. Di conseguenza, ci presenta un Gesù che accetta i peccatori e permette loro di ricominciare da capo. Questo inizia già con la chiamata del pubblicano Levi, un esattore delle tasse che viveva prendendo al popolo più soldi di quanti ne doveva dare ai romani. Di conseguenza, questi esattori delle tasse erano odiati dalla gente di quel tempo. Proprio uno di questi non solo è chiamato da Gesù, ma organizza anche un banchetto per Gesù, banchetto al quale sono invitati molti altri esattori delle tasse. Diventa chiaro: alla tavola di Gesù c’è posto per tutti, anche per chi è corrotto e deve essere considerato «peccatore». Ma facendo questo, Gesù si attira la dura reazione dei farisei e degli scribi, che criticano aspramente il suo mettersi insieme a tavola con «pubblicani e peccatori» (5,29-30). Ma Gesù controbatte:
«Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi.» (Vangelo di Luca 5,31-32)
Con questo Luca chiarisce dal suo punto di vista ciò che è caratteristico per Gesù: egli è inviato specialmente ai peccatori e alle peccatrici. Questo tema si sviluppa ulteriormente nel corso del Vangelo di Luca. Così solo nel suo Vangelo troveremo la donna peccatrice alla quale Gesù promette il suo perdono (7,36-50).
La misericordia di Dio
Circa a metà del Vangelo di Luca, nel capitolo 15, ci sono tre parabole che mostrano la misericordia di Dio verso i peccatori e le peccatrici e verso chi si è perduto. Oltre alla parabola del padre misericordioso (detta anche del figliol prodigo), ci sono le due piccole storie della pecorella smarrita e della dracma perduta. L’occasione per Gesù di raccontare queste parabole è, secondo 15,1-2, l’indignazione dei «farisei e degli scribi» per il fatto che «tutti i pubblicani e i peccatori» siano venuti da Gesù per ascoltarlo, e che Gesù avesse anche mangiato con loro.
A questa serie appartiene anche la parabola del fariseo e del pubblicano (18,9-14), che si trovano entrambi davanti a Dio nel tempio. Il fariseo indica una serie di azioni giuste e buone da lui compiute, ma alla fine sarà il pubblicano a tornare a casa «come uomo giusto» e non lui. Il pubblicano aveva infatti capito quanto egli, come peccatore, dipendesse dalla misericordia di Dio.
L’attenzione di Gesù
Anche il pubblicano Zaccheo è una figura esemplare, con la quale si vuole mostrare l’attenzione di Gesù verso tali malfattori (19,1-10). Nel suo caso, questo porta a un cambiamento nella sua vita, e comincia a restituire i soldi che aveva avuto in più e a dare metà dei suoi beni ai poveri. È proprio a lui, quindi, che viene concessa la salvezza «oggi», e verrà considerato «figlio di Abramo».
L’attenzione di Gesù per chi si è perso, nel Vangelo di Luca arriva letteralmente fino agli ultimi istanti della sua vita. Addirittura sulla croce, Gesù promette la salvezza a uno dei due criminali che sono crocifissi con lui e che si è rivolto a lui pregando di salvarlo:
«In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso.» (Vangelo di Luca 23,43)
Anche qui, in quest’ultima ora, la salvezza è possibile per chi vuole pentirsi. Gesù rimane fino all’ultimo respiro il Salvatore, la cui nascita fu celebrata dagli angeli in 2,11. Così, la morte di Gesù è ancora allo stesso tempo attenzione ad ogni essere umano, specialmente ai perduti. In lui diventa visibile l’attenzione di Dio per chi si è perso.
Un atteggiamento solidale nei confronti della proprietà
Quando Luca presenta un Gesù che si rivolge ai poveri, agli smarriti e agli esclusi e definisce beati i poveri e gli affamati perché Dio si è rivolto a loro, allora ci si chiede cosa significhi questo per le persone che seguono Gesù. Questo è un argomento importante nel Vangelo di Luca. Egli chiarisce nel corso della sua opera che i suoi lettori e alle sue lettrici, che probabilmente non appartengono tutti alla categoria dei poveri, devono imitare Gesù e, come lui, impegnarsi per i poveri.
Pertanto, la questione di una giusta gestione della proprietà gioca un ruolo importante. Chi segue Gesù dovrebbe rinunciare ai suoi beni. Questo è stato già fatto dai primi discepoli chiamati, Simone, Giovanni e Giacomo, di cui si racconta in 5,11: hanno lasciato «tutto» e hanno seguito Gesù. Lo stesso si dice del pubblicano Levi, che Gesù chiama poco dopo mentre stava lavorando. Queste persone, che si aprono alla parola di Gesù, si lasciano tutto alle spalle ed entrano nel discepolato, realizzando così in modo ideale già all’inizio del Vangelo di Luca ciò che Gesù sottolineerà in seguito come fondamentale per essere discepolo:
«Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.» (Vangelo di Luca 14,33; cfr. 18,28-29)
Secondo il versetto 8,3, anche le donne che seguono Gesù mettono i loro beni al servizio del gruppo dei discepoli e delle discepole, e anche gli Atti degli Apostoli presentano figure ideali di discepoli come Giuseppe Barnaba (At 4,36-37) o la discepola Tabita di Giaffa (9,36).
Due vie praticabili
Tutto questo dimostra che secondo Luca, seguire Gesù è inseparabile da una giusta gestione della proprietà. Luca offre ai suoi lettori e lettrici due diversi modelli di come potrebbe apparire una tale gestione solidale e giusta dei beni.
Il primo modello è la via radicale della completa rinuncia ai beni, come già detto. Questo è realizzato in modo ideale dai primi discepoli (5,11.28), che devono essere visti come un esempio. Inoltre, questo viene presentato nel testo di Luca come una richiesta di Gesù e come condizione per il discepolato:
«Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.» (Vangelo di Luca 12,33-34; cfr. 14,33; 18,22)
Nel libro degli Atti è raffigurata l’immagine ideale della chiesa primitiva di Gerusalemme, in cui i membri benestanti della comunità mettono i loro beni a disposizione dell’intera comunità, in modo che tutto appartenga a tutti e nessuno sia nel bisogno (Atti 2, 44-45; 4, 34-35).
Il secondo modello di condivisione dei beni che Luca presenta ai suoi lettori e lettrici è quello di una giusta distribuzione all’interno della Chiesa. Ciò significa che i ricchi mettono a disposizione della comunità una parte dei loro beni, in modo che da un lato si provveda al sostentamento dei poveri, ma dall’altro non si impoveriscano completamente essi stessi e diventino un peso per la comunità. Per questo modo di pensare il modello seguito era presumibilmente quello svilluppato per l’assistenza ai poveri nel mondo giudaico all’interno delle comunità delle Sinagoghe.
Questo modello di condivisione lo si può già trovare nel Vangelo di Luca nella predicazione del Battista, che suggerisce a coloro che gli chiedono cosa fare di fronte al giudizio di Dio di condividere i loro beni (chiamati vestiti e cibo) con coloro che non hanno nulla, in particolare: dare la metà dei propri averi (Vangelo di Luca 3,10-11). Tra coloro che condividono i loro beni, nel Vangelo di Luca, ci sono le discepole che sostengono la comunità di Gesù (8,3). Il già citato Zaccheo cede anche la metà dei suoi beni. Secondo Luca, diventa un modello per una gestione consapevole della ricchezza (19,8).
I poveri al centro
Tutto ciò dimostra quanto per la chiesa del Vangelo di Luca debbano essere state importanti tali questioni e quanto era determinante misurare su questo la credibilità di una chiesa che si considerava la chiesa di Gesù. Solo una chiesa che si concentra veramente sui poveri e agisce in modo tale che tutti abbiano abbastanza da vivere, si rende conto di ciò che Gesù stesso ha vissuto e chiesto. Solo una tale chiesa è in definitiva credibile secondo il Vangelo di Luca e il Libro degli Atti.
Ci sono molte sfide che il Vangelo di Luca presenta oggi anche ai suoi lettori e lettrici. Ma è proprio su queste questioni di misericordia, solidarietà e giustizia che la Chiesa deve essere misurata fino ad oggi se vuole essere veramente la Chiesa di Gesù Cristo.2
- Sul Vangelo di Luca cfr. particolarmente Sabine Bieberstein: Jesus und die Evangelien (Studiengang Theologie II,1), Zürich 2015, p. 199-269.
- Un libro sempre attuale e di facile comprensione è quello di Hermann-Josef Venetz: Der Evangelist des Alltags. Streifzüge durch das Lukasevangelium, Fribourg / Kevelaer 2006.
Crediti d’immagine Immagine di copertina: Nick Fewings, unsplash; Immagine 1: Staatliches Russisches Museum St. Petersburg. Foto: Keystone; Immagine 2: davidpereiras, photocase.de; Immagine 4: froodmat, photocase.de; Immagine 5: antiheld2000, photocase.de; Immagine 6: kallejipp, photocase.de.
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