«Credere significa non sapere», così mi hanno detto molte persone. E in un certo senso hanno ragione: la fede in senso religioso è qualcosa di completamente diverso dalle conoscenze scientifiche o storiche.
Traduzione dal tedesco: Italo L. Cherubini
Una fede responsabile e non fondamentalista in Dio prende sul serio la conoscenza scientifica e storica. Gli si può chiedere: in che misura le scoperte scientifiche e storiche corrispondono alla mia idea di noi come esseri umani e del nostro mondo? Dove viene messa in discussione l’immagine che ho dell’essere umano e di Dio?
Grazie al dialogo con queste scienze, la fede rimane – non solo, ma anche – un processo che dura tutta la vita:1 se la fede vuole essere viva, deve cambiare continuamente, deve essere messa in discussione. Solo così la fede può crescere e diventare più profonda.
Ma la fede non si riferisce a qualcosa che possiamo provare, calcolare o misurare. Se qualcuno pensasse di poter provare o confutare l’«esistenza» di Dio, ciò che sarebbe «provato» oppure «smentito» non sarebbe certamente Dio. Questo perché è proprio la caratteristica della fede riferirsi a qualcosa che trascende noi umani e l’universo e quindi non dimostrabile.
La fede quindi non chiede: cosa posso sapere? Come è nato il mondo e come funziona? Piuttosto, la fede si chiede: in cosa posso sperare? Di cosa posso fidarmi? Cosa dà senso alla vita?
Vista sotto questa luce, la fede è infatti qualcosa di molto diverso dalle conoscenze storiche o scientifiche. Proverò a spiegare in questo articolo qualcosa, non tutto, di ciò che la fede significa per me.
Credere significa … meravigliarsi
Per me credere significa prima di tutto meraviglia: meraviglia per il fatto che esista un universo: un mondo con i suoi sistemi solari e i suoi uccelli, un mondo con i suoi buchi neri e i suoi fiori, un universo anche con noi umani, anche con me preso come individuo. Tutto questo non è ovvio. Semplicemente non poteva esistere solo il niente.
Da questa meraviglia, sorgono domande: perché tutto questo esiste? Cosa significa che c’è un universo, cosa significa per me, per noi? E anche: che cosa significa che noi umani abbiamo una coscienza dell’ego e che possiamo meravigliarci? Che possiamo meravigliarci della vita, delle risate e dei giochi dei bambini, della bellezza dei fiori e delle farfalle?
Credere significa … cercare
Credere è cercare. Se vogliamo vivere, dobbiamo cercare cibo a sufficienza, protezione dal freddo e dal caldo, ecc. Se la vita deve continuare, lo sono anche le possibilità riproduttive. È sorprendente che questo desiderio di vivere sia in qualche modo racchiuso in noi esseri umani, negli animali e in tutti gli esseri viventi. Ancora più sorprendente per me è che noi umani di solito non cerchiamo solo ciò che è necessario per la sopravvivenza, che non vogliamo solo vivere o sopravvivere in qualche modo. Piuttosto, siamo alla ricerca di una vita felice e compiuta, di una vita vera e dignitosa.
Ci spingeremo ancora oltre quando cerchiamo non solo una vita dignitosa per noi stessi, ma anche per gli altri, per tutti gli esseri umani. Questo è legato alla ricerca di valori etici, di buone regole di convivenza. Questa ricerca è vecchia quanto l’umanità stessa ed è centrale in tutte le religioni più importanti. Le religioni per generazioni mantengono regole come non uccidere, non mentire, non rubare, ecc. fino alla regola d’oro: tratta le persone come vuoi essere trattato te stesso (cfr. Vangelo di Matteo 7,12). Non sto dicendo che solo le religioni fanno questo. Ma lo fanno a livello centrale, con una «inerzia conservatrice» in parte necessaria e da mantenere (es. non uccidere), in parte fastidiosa e contraria all’etica della società contemporanea (es. necessaria uguaglianza di genere; diritti delle persone LGBTIQ). La ricerca dell’etica e della dignità umana è stata in qualche modo imposta oppure è cresciuta spontaneamente nell’essere umano, cosicché nel 1948 si è trovata una strada comune verso una Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Da allora, è stato necessario lottare contro numerose resistenze per garantire che i diritti umani siano effettivamente protetti e rispettati.
Niente di tutto questo può essere dato per scontato. A mio avviso, la ricerca di vita reale e di valori etici è legata alla ricerca di senso, per la mia vita, per la convivenza umana, per qualcosa di molto più grande oppure per il significato in questo qualcosa di grande. Questa ricerca di senso è sempre stata legata alla ricerca del divino, di Dio.
Credere significa … interrogarsi e dubitare
Credere significa anche interrogarsi e dubitare. La fede in Dio non è ovvia, viene anche messa in discussione da molte cose, molto probabilmente dalle esperienze di sofferenza e senza senso: perché questo mondo non è migliore se è stato creato da un Dio buono? Perché da tempo immemorabile si deve mangiare o essere mangiati?
Noi esseri umani siamo noi stessi responsabili di molta sofferenza e miseria e potremmo evitarla. Ma ci sono anche sofferenze e distruzioni che non sono influenzate dall’uomo: terremoti ed eruzioni vulcaniche dovute allo spostamento dei continenti, tsunami già nell’antichità e varie malattie.
Le persone probabilmente affrontano tali dubbi in modo diverso nel tempo (e individualmente): di fronte alla sofferenza, nel passato l’essere umano poneva a Dio le sue domande, oggi spesso si mette in discussione Dio stesso. Tuttavia, sia nel passato che oggi resta la domanda: alla fine da dove deriva ciò che risulta ostile e distruttivo per la nostra vita?
Per le persone che credono in Dio, c’è anche la domanda: dov’è Dio in tutta questa sofferenza? Anche le persone ai tempi dei Salmi conoscono tali dubbi, persino dubbi sulla presenza stessa di Dio:
«4 Le lacrime sono mio pane giorno e notte,
mentre mi dicono sempre: “Dov’è il tuo Dio?”.
5 Perché ti rattristi, anima mia,
perché su di me gemi?» (Salmo 42,4-5)
Credere significa … sperare
Credere significa sperare, sperare che qui ed ora sia possibile una vita dignitosa per tutti. Sperare che non ci siano solo la sofferenza e l’orrore. Sperare che possiamo perseguire una politica di asilo più umana. Sperare che possiamo raggiungere la pace come individui e come comunità di Stati. Sperare che possiamo fermare il cambiamento climatico.
Tale speranza porta all’azione, ci libera dall’impotenza e dalla rassegnazione e incoraggia l’impegno per la pace, la giustizia e l’integrità del creato. Cosa saremmo senza questa speranza per la nostra vita e per il nostro mondo?
Credere significa … sperare
Credere significa sperare, sperare che qui ed ora sia possibile una vita dignitosa per tutti. Sperare che non ci siano solo la sofferenza e l’orrore. Sperare che possiamo perseguire una politica di asilo più umana. Sperare che possiamo raggiungere la pace come individui e come comunità di Stati. Sperare che possiamo fermare il cambiamento climatico.
Tale speranza porta all’azione, ci libera dall’impotenza e dalla rassegnazione e incoraggia l’impegno per la pace, la giustizia e l’integrità del creato. Cosa saremmo senza questa speranza per la nostra vita e per il nostro mondo?
Certamente, c’è anche l’esperienza che le nostre speranze non si realizzino, che le persone non sperimentino la giustizia, non ricevine cibo a sufficienza, che le foreste pluviali siano ulteriormente disboscate contro ogni ragione, che si compia uno sfruttamento eccessivo delle persone, degli animali e della natura, che la vita si spegni. Ma è proprio qui, in profonda angoscia e disperazione, che è sorta la speranza che la morte non è la fine: la speranza della risurrezione e di una nuova vita con Dio.2 E questa speranza vuole anche incoraggiare un’azione etica qui e ora.
Certamente si può essere contrari a tale speranza: il pane è il sogno di chi ha fame. Ma perché lo scetticismo di chi è sazio dovrebbe essere più vero della speranza degli affamati? Perché la speranza di una madre in una baraccopoli, con in braccia il suo bambino affamato, che il suo bambino sia ora con Dio e che un giorno Dio chiamerà i responsabili a rendere conto, perché questa speranza dovrebbe avere meno peso dello scetticismo se c’è o meno un Dio? Perché si può comprendere la speranza della madre? Anche lo scetticismo è comprensibile: ci sono abbastanza ragioni per non credere in un Dio. Il fatto che qualcuno creda o meno in Dio non dipende dal fatto che si possano elencare più ragioni a favore o contro la sua «esistenza». Non si tratta di un compito «matematico», puramente logico, che si dovrebbe solo risolvere correttamente per arrivare ad un risultato non ambiguo. A mio parere, la fede dipende in ultima analisi, se qualcuno vuole credere in Dio o meno. La fede è una libera scelta, che, anche dal punto di vista della ragione, può essere presa in tutta libertà.3 Anche nella Bibbia una tale libera scelta è in parte evidente, per esempio nel grido nel momento del bisogno: «Credo, aiutami nella mia incredulità». (Vangelo di Marco 9,24). In questo grido sta tutto il desiderio e la volontà di credere, così difficile come lo è talvolta la fede.
Credere significa … avere fiducia
Molte persone oggi pensano – e alcune epoche della storia della religione e della chiesa lo hanno quasi imposto – che la fede sia soprattutto una (razionale) accettazione di certe affermazioni (Dio ha creato il mondo in sette giorni; il diluvio è avvenuto come descritto nella Bibbia, ecc.). Ma la fede è più fiducia che fedeltà: fiducia nel fatto che Dio può incontrarmi nel confronto diretto con la Bibbia, così come in una persona che ha bisogno di aiuto, nel culto e nella preghiera, nel godere e preservare la natura. Fiducia che l’universo e la vita, compresa la mia vita personale, può avere un senso. Fiducia che il comportamento etico è giusto, anche se comporta degli svantaggi dal punto di vista personale.
Tale fede, tale fiducia, è un rischio: non è chiaro a priori che l’amore per il prossimo sia più forte dell’odio, che la non violenza sia più forte della violenza, che un’equa condivisione delle risorse vitali della nostra terra renda più felice dell’accumulo egoistico di ricchezze e beni. Troppo spesso l’esperienza indica una direzione diversa (cfr. il Libro di Giobbe): uomini e donne di potere senza scrupoli trionfano con le loro menzogne e il loro lusso, mentre le persone oneste che si battono per la verità e la giustizia sociale sono, ad esempio, vittime di bullismo sul lavoro e perseguitati, arrestati e uccisi come giornalisti o come oppositori politici. Fede significa confidare che Dio è solidale con coloro che difendono la dignità umana, specialmente quando soffrono per il loro impegno.
La fiducia che Dio sia solidale con gli oppressi e gli sfruttati è il messaggio centrale nel racconto dell’Esodo ed è stata formulata dai rabbini nell’antichità anche in relazione al popolo d’Israele spesso oggetto di deportazione:
«R. Shimon lo ha insegnato a Jochaj: In ogni luogo dove Israele doveva andare in esilio, lo Shekinah [la dimora di Dio] andava con loro in esilio.» (Mischnah, pTaanit 1,1).
In definitiva, questa fiducia è anche il messaggio della croce: Dio era profondamente con e nel Gesù crocifisso di Nazareth nel suo grido di essere stato abbandonato da Dio.
Il riformatore Martin Lutero (1483-1546 d.C.) ha ripetutamente sottolineato che fede significa soprattutto fiducia. Le sue parole sono diventate famose:
«Avere un Dio significa avere qualcosa a cui si aggrappa il mio cuore e di cui mi fido assolutamente […] Quello che ora, io dico, lega il tuo cuore e [a cui ti affidi], è in realtà il tuo Dio.»4
Credere significa … amare
A cosa «si aggrappa il mio cuore»? Le affermazioni di Martin Lutero mi portano ad un’altra dimensione della fede: fede significa amare. Interrogato sul comandamento più importante, Gesù di Nazareth ha citato due passi della Torah e li ha collegati: «ama Dio» e «ama il prossimo tuo come te stesso» (Vangelo di Marco 12,28-31).5 Sono due aspetti complementari: amare Dio è amare il prossimo; amare il prossimo è amare Dio.
Per amore si usano le parole greche agápe / agapan. Queste parole indicano un amore volontario e attivo che è disinteressatamente benefico per gli altri.6 «Praticare l’amore vuol dire fare opere di bene» (Mischnah, bSukka 49b). Il prossimo è l’uomo concreto, specialmente un uomo che ha bisogno del mio aiuto: poveri, feriti, malati, rifugiati, stranieri, prigionieri. Ai credenti è anche richiesto biblicamente l’amore per il nemico (Vangelo di Matteo 5,43-48; cfr. Libro dell’Esodo 23,4; Proverbi 25,21-22; Libro di Giona).
Se vogliamo rendere concreto l’amore per Dio, oltre all’amore del prossimo ad esso associato, questo amore per Dio si deve esprime per il popolo ebraico nell’accettare e seguire le norme etiche e religiose della Torah e soprattutto nel mantenere lo Shabbat. Per gli uomini di fede cristiana, amare Dio significa anche seguire le norme etiche della Bibbia, incontrare Dio nella preghiera e nel culto, e seguire Gesù Cristo.
Il fatto che l’amore per Dio e per il prossimo siano inseparabilmente insieme può essere visto anche nella seguente affermazione della Prima Lettera di Giovanni:
«Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui». (1. Lettera di Giovanni 4,16)
E adesso, arrivati alla fine dell’articolo, cosa significa credere per lei che sta leggendo?
Credere significa …
- Cfr. il pioniere James W. Fowler: Stufen des Glaubens. Die Psychologie der menschlichen Entwicklung und die Suche nach Sinn, Gütersloh 2000 [engl. 1981].
- Cfr. André Flury: Dalla morte alla vita – La fede neotestamentaria nella resurrezione, su: questioni-di-fede.ch (23.03.2020).
- Vale la pena di leggere l’appello di William James: Der Wille zum Glauben, in: Pragmatismus. Ausgewählte Texte von Charles Sanders Peirce, William James, Ferdinand Canning Scott Schiller, John Dewey, mit einer Einl. hg. v. Ekkehard Martens, Stuttgart, 2002, 128-160 [engl. 1897 disponibile su: http://www.gutenberg.org/files/26659/26659-h/26659-h.htm (12.11.2019)].
- Martin Luther: Grosser Katechismus, Kap. 4, Erstes Hauptstück: Die Zehn Gebote; in italiano Martin Lutero, Piccolo catechismo. Grande catechismo, Milano 1998.
- Lo stesso in Matteo 22,34-40 e in Luca 10,25-28. Vengono citati Deuteronomio 6,4 e Levitico 19,18. Cfr. André Flury: Was ist das Wichtigste im Glauben?, auf: http://glaubenssache-online.ch/2019/07/05/was-ist-das-wichtigste-im-glauben/ (5.7.2019).
- È da distinguere da eros / eran, che indica la passionalità, l’amore sessuale e da philia / philein, che sta soprattutto per inclinazione, amore (emozionale) premuroso da amico ad amico.
Crediti d’immagine Immagine di copertina, Immagini 1-5: unsplash.com; Immagine 6: Banksy, auf: blogs.buprojects.uk/2015-2016/rachelrichardson.
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