Non piangere?!
«Gli indiani non piangono!» Sicuramente conoscerete questo detto. Gli indiani, si dice, sono grandi maestri nel sopportare il dolore. In silenzio e senza battere ciglio, accettano le sofferenze inflitte loro. Noi non siamo così eroici – per fortuna!
Traduzione dal tedesco: Italo L. Cherubini
A volte mi sembra che negli ambienti cristiani esista il divieto del pianto e del lutto. Incontro sempre più spesso donne e uomini che sono convinti che i credenti non devono o non possono piangere. Piangere, lamentarsi e dubitare sono inconsciamente considerati una debolezza della fede. Sono, così si pensa, atteggiamenti umani e comprensibili, ma non cristiani. Ma dove ci vuole portare l’essere cristiani, se non nella nostra umanità? Chi non conosce né la paura né le lacrime è una persona incompleta. La morte, sottolinea il teologo vallesano Johannes Brantschen, è uno schiaffo all’amore. Chi ama piange la perdita dei propri cari, soffre per la miseria, rabbrividisce di orrore di fronte alle mostruosità di cui l’uomo è capace. «I cristiani che non piangono e pensano di essere particolarmente forti nella fede non devono illudersi. Dio non potrà nemmeno asciugare le loro lacrime alla fine». (Johann Albrecht Bengel)
Incoraggiamento biblico
«3 Perisca il giorno in cui nacqui e la notte in cui si disse: «È stato concepito un uomo!». 4 Quel giorno sia tenebra, non lo ricerchi Dio dall’alto, né brilli mai su di esso la luce. 5 Lo rivendichi tenebra e morte, gli si stenda sopra una nube e lo facciano spaventoso gli uragani del giorno! 6 Quel giorno lo possieda il buio non si aggiunga ai giorni dell’anno, non entri nel conto dei mesi. 7 Ecco, quella notte sia lugubre e non entri giubilo in essa. 8 La maledicano quelli che imprecano al giorno, che sono pronti a evocare Leviatan. 9 Si oscurino le stelle del suo crepuscolo, speri la luce e non venga; non veda schiudersi le palpebre dell’aurora, 10 poiché non mi ha chiuso il varco del grembo materno, e non ha nascosto l’affanno agli occhi miei! 11 E perché non sono morto fin dal seno di mia madre e non spirai appena uscito dal grembo? 12 Perché due ginocchia mi hanno accolto, e perché due mammelle, per allattarmi? 13 Sì, ora giacerei tranquillo, dormirei e avrei pace 14 con i re e i governanti della terra, che si sono costruiti mausolei, 15 o con i principi, che hanno oro e riempiono le case d’argento. 16 Oppure, come aborto nascosto, più non sarei, o come i bimbi che non hanno visto la luce. 17 Laggiù i malvagi cessano d’agitarsi, laggiù riposano gli sfiniti di forze. 18 I prigionieri hanno pace insieme, non sentono più la voce dell’aguzzino. 19 Laggiù è il piccolo e il grande, e lo schiavo è libero dal suo padrone. 20 Perché dare la luce a un infelice e la vita a chi ha l’amarezza nel cuore, 21 a quelli che aspettano la morte e non viene, che la cercano più di un tesoro, 22 che godono alla vista di un tumulo, gioiscono se possono trovare una tomba… 23 a un uomo, la cui via è nascosta e che Dio da ogni parte ha sbarrato? 24 Così, al posto del cibo entra il mio gemito, e i miei ruggiti sgorgano come acqua, 25 perché ciò che temo mi accade e quel che mi spaventa mi raggiunge. 26 Non ho tranquillità, non ho requie, non ho riposo e viene il tormento!» (Giobbe 3,3-26)
Il lato incomprensibile di Dio
Il Libro di Giobbe testimonia l’esperienza di un Dio contraddittorio. Mentre gli amici sembrano sapere dov’è Dio, Giobbe si confronta con un Dio che si nasconde, quasi assente. Si lamenta e maledice, ma in questo suo lamento e in tutte le sue domande non si allontana da Dio. Giobbe resta in relazione con Dio, anche nel momento in cui vorrebbe fortemente rompere questo rapporto – lasciatemi in pace! La sua sofferenza non lo porta all’ateismo. Ma va oltre l’immagine di un Dio che fissa la relazione tra Dio e l’uomo basandosi sulla punizione, la ricompensa e il castigo. Giobbe non ha nulla per poter entrare in questo tipo di relazione. Rimane l’esperienza dolorosa della sua sofferenza, del non comprendere Dio. Anche questo fa parte della fede: il lato oscuro, incomprensibile di Dio. Dio non è solo dolce e benevolo e misericordioso. Il «buon Dio» è una minimizzazione. La tradizione biblica e cristiana ha sempre conosciuto il mistero e l’infinito in Dio. Dio tace dove cerchiamo le risposte. Non c’è quando abbiamo urgente bisogno di lui.
«… e prega nella stranziante oscurità» (E. Ginsberg)
In un certo senso la fede non ci rende necessariamente le cose più facili. Come sarebbe bello avere delle spiegazioni a portata di mano o semplicemente distogliere lo sguardo dai problemi. La fede non ci concede questo non vedere la realtà delle cose. Ci rende consapevoli delle contraddizioni della vita, ci rende vulnerabili e, di fronte alla sofferenza e all’ingiustizia, ci fa chiedere sempre: perché? a vantaggio di chi? dove porta tutto questo? La fede interrompe la «normale cortesia» e chiede delle alternative. Dà spazio al desiderio e mantiene viva la nostra speranza: la speranza di una vita in pienezza, per tutti!
«1 Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c’era più.[…] 3 Udii allora una voce potente che usciva dal trono: Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro. 4 E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate.» (Apocalisse 21,1.3-4)
Commenti
Ancora nessun commento