Pregare con il corpo

La vita dell’uomo e tutte le sue azioni sono legate al corpo. Le esperienze sono impresse nel corpo. Anche quando si prega, il corpo è sempre coinvolto: posture e gesti, forme di movimento, rituali come azioni ricorrenti danno forma e spessore alla preghiera e possono diventare essi stessi preghiera.

Traduzione dal tedesco: Italo L. Cherubini

Siamo corpo

Cosa distingue l’uomo da un’intelligenza artificiale? Un’IA può essere più intelligente e risolvere compiti di pensiero più velocemente degli esseri umani, ma non può (ancora) sviluppare una comprensione del mondo e di se stessa. Non ha un corpo senziente fatto di materia organica, non ha la capacità di agire corporalmente.

La comprensione non è solo una questione di intelligenza e di pensiero. In quanto esseri dotati di un corpo, noi umani comprendiamo e afferriamo il mondo attraverso le nostre percezioni sensoriali, attraverso il tatto, il movimento, la relazione.

Il corpo umano è più di un vestito, un involucro sostituibile. È il nostro modo di esistere. Con i nostri pensieri vaghiamo, ma nel corpo siamo presenti e in contatto con il mondo.

L’atteggiamento verso la vita si manifesta nella postura del corpo e, viceversa, la postura del corpo, un certo modo di trattare il proprio corpo, ha un effetto sull’atteggiamento verso la vita, sulla comprensione di sé e del mondo.

La lingua tedesca descrive questa condizione umana di base con la parola «Leib» tradotto con corpo in italiano, che è etimologicamente legata a «Leben», vita e «Liebe» amore. Noi esseri umani non abbiamo un corpo, siamo corpo.1

Espressione e forma della fede

Anche la nostra vita religiosa e la nostra comprensione non sono possibili senza il corpo. Non c’è preghiera senza puna determinata postura del corpo. Celebrare una Liturgia vuol dire «agire con il corpo».2

Il corpo esprime che crediamo, cosa crediamo, come crediamo. Quando ci si inginocchia, quando si impongono le mani sui malati, quando i credenti vanno in processione per le strade e per i campi, questo dice più di quanto possano fare le parole.

Allo stesso tempo, certe posture, gesti e movimenti nella preghiera e nella celebrazione, soprattutto se provati e praticati regolarmente, trasmettono un’esperienza di fede e una comprensione religiosa che va più in profondità di quanto si possa afferrare con la mente. Il significato dei rituali religiosi è che una certa forma di espressione «diventa carne e sangue» per noi attraverso la pratica ripetuta, modella il nostro essere interiore e ha un effetto sulla nostra comprensione e relazione con noi stessi, il mondo e Dio.

Le posture e i movimenti del corpo nella preghiera e nel culto non sono puramente funzionali; hanno un significato simbolico in quanto rappresentano il lato visibile e tangibile di una realtà che è nascosta ai sensi. Le processioni e i pellegrinaggi sono più che uno spostamento da A a B; interpretano la vita come un viaggio con Dio e la rendono qualcosa di sperimentabile.

I segni del Cammino di Santiago

«Dimenticare» e «riscoprire» il corpo

Sulla base della Bibbia, la liturgia e la spiritualità cristiana conoscono una varietà di forme (in piedi, seduti, inginocchiati), gesti (inchinarsi, allargare le braccia, piegare le mani, posare le mani sul petto, ecc.) e movimenti (camminare, danzare).

Tuttavia, nel cristianesimo di stampo occidentale, soprattutto nei Paesi di lingua tedesca, nel corso dei secoli si è sviluppata una «negazione del corpo».

Gli interni delle nostre chiese sono spesso pieni di banchi, un’eredità questa della Riforma che ha messo al centro l’ascolto della predica, l’esame intellettuale della fede. Nelle chiese cattoliche, gli inginocchiatoi sono stati installati nel corso della Controriforma. I movimenti all’interno di una Chiesa furono così ridotti al minimo, i corpi disciplinati e il loro ruolo trascurato.

Il movimento liturgico della prima metà del XX secolo e il Concilio Vaticano II (1962-1965) hanno riconosciuto nuovamente l’importanza del corpo per la preghiera e la celebrazione.3 Due espressioni corporee elementari sono lo stare in piedi e il camminare consapevolmente

Stare davanti a Dio e servirlo

La preghiera interiorizzata e raccolta si esprime spesso attraverso una postura del corpo piegata in avanti; inoltre, l’inginocchiarsi è considerato una postura di preghiera tipica della Chiesa cattolica. È facile perdere di vista il fatto che la principale postura di preghiera cristiana è la posizione eretta.

(Stare) in piedi segnala rispetto e riverenza, la disponibilità a mettersi in cammino e ad agire. Esprime la dignità dell’essere umano come immagine di Dio e simboleggia l’esistenza pasquale dei cristiani. Poiché sono risorti con Cristo a vita nuova, redenti e chiamati alla libertà, i cristiani possono stare in piedi e camminare. A questo si collega la responsabilità di contribuire in modo creativo a plasmare il mondo. Ciò è ripreso nella seconda preghiera eucaristica con le parole: «Ti ringraziamo perché ci hai chiamati a stare davanti a te e a servirti».

L’atteggiamento (di preghiera) dei cristiani dovrebbe essere caratterizzato dal fatto che essi «alzano il capo» (Vangelo di Luca 21,28) e si dirigono verso «l’alto» (Lettera ai Colossesi 3,1), verso la meta della loro speranza. La consapevolezza di essere sostenuti da Dio modella il loro atteggiamento.4

Nella liturgia cattolica, i partecipanti si alzano in piedi per gli atti più importanti, come l’ascolto del Vangelo, la preghiera delle Orazioni e della Preghiera eucaristica, o il canto dei Cantici del Nuovo Testamento (Benedictus, Magnificat, Nunc dimittis).

In cammino con e verso Dio

L’essere in cammino è un’immagine della vita, che svolge un ruolo centrale nell’ebraismo e nel cristianesimo. Entrambe le religioni sono determinate da «Exodus» e «Transitus» da esodo e passaggio. La liberazione dalla schiavitù in Egitto, il passaggio attraverso il Mar Rosso, il cammino verso la terra della promessa fanno parte dell’identità del popolo ebraico. Nella celebrazione dei sacramenti, a Pasqua e ogni domenica, i cristiani percorrono il cammino dalla morte alla nuova vita.

Molte chiese sono edifici lunghi e progettati come le cosiddette chiese della via; spesso sono rivolte a est verso il sole nascente come simbolo di Cristo che viene. Le chiese della via si riferiscono al popolo pellegrino di Dio che va incontro a Cristo, ma che è anche sul cammino della sequela di Gesù, in viaggio con Cristo verso Dio.

Il movimento di preghiera che corrisponde a questa realtà di fede è il «camminare». È diverso dal camminare senza meta, dal passeggiare o dal gironzolare, è un camminare concentrato e diretto. Inizia con il raccogliersi nel nome di Gesù, prosegue nella liturgia e infine riporta alla vita con la missione alla fine della funzione. Tutti i modi in cui i fedeli camminano consapevolmente nella Liturgia (ad esempio il camminare per ricevere la comunione) possono diventare preghiera, secondo le parole del Salmo 116,9: «Vado per la mia strada davanti al Signore nella terra dei viventi».

Il corpo: il posto di Dio nel mondo

Secondo la comprensione biblica, il corpo è sacro. Con l’incarnazione di Dio in Gesù Cristo, il corpo umano è diventato il luogo di Dio nel mondo. «Il fine di tutte le vie di Dio è il corpo», dice il teologo Friedrich C. Oettinger (1702-1782). Gesù usa «corpo e vita» per rendere possibile alle persone di sperimentare la vicinanza e l’amore di Dio. Egli tocca e si lascia toccare; prende per mano le persone e le solleva. Il suo corpo diventa un simbolo, un’espressione e uno strumento di Dio: «… un corpo invece mi hai preparato… Allora io dissi: Ecco, io vengo… per fare la tua volontà, o Dio» (Ebrei 10,5-7).

I cristiani sono chiamati a questa via di Gesù. Coltivando il linguaggio del corpo nella preghiera e nell’adorazione, acquisiscono una coscienza corporea più simile a quella di Cristo. Si preparano per il servizio umano cristiano. La loro fede ha mani e piedi. L’apostolo Paolo ci esorta: «Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che abita in voi e che avete da Dio?… Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!». (1 Corinzi 6,19-20)

  1. La parola tedesca «Körper», corpo, si riferisce piuttosto all’oggetto materiale, meccanico-funzionale (anche morto); «Leib», invece, al corpo animato, vivente. In questo caso, i due termini sono usati come sinonimi, come nell’uso generale della lingua. In italiano usiamo corpo per tradurre entrambi i termini.
  2. Benedikt Kranemann: Liturgie und Körper, in: Theologie der Gegenwart 63 (1/2020), p. 1.
  3. Cfr. Lea Lerch: Entdeckung des Leibes – Erneuerung der Liturgie. Körperdiskurse in der Liturgischen Bewegung, in: Theologie der Gegenwart 63 (1/2020) p. 19-32.
  4. Cfr. Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz: Liturgie als Schule des Leibes. Ein Versuch über leibhaft gedachte Anthropologie, in: zur Debatte. Themen der katholischen Akademie Bayern 5/2018, p. 36-38, qui p.38.

     

    Crediti immagine: Immagine di copertina: Figurina di robot seduta. Unsplash@brett_jordan / Immagine 1: Donna danzante nella foresta. Unsplash@churchoftodd / Immagine 2: Cartello sul Cammino di Santiago. Wikimedia commons / Immagine 3: Donna che prega in ginocchio. Unsplash@currentcoast / Immagine 4: Chiesa alla luce del sole. Unsplash@awmax.

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