Il modo in cui celebriamo l’Eucaristia o Cena del Signore è cambiato più volte nel corso della storia della Chiesa e continuerà a farlo. Ma il fatto più importante rimane lo stesso: facciamo ciò che Gesù ha fatto e insegnato ai suoi discepoli.
Traduzione dal tedesco: Italo L. Cherubini
A Gesù piaceva spesso sedersi a tavola. Pranzava con i suoi discepoli, con i farisei, gli esattori delle tasse e le prostitute. Era fedele alla tradizione ebraica. Condividendo il pasto con Gesù, la gente sperimentava il perdono e la salvezza e riconosceva l’alba del regno di Dio. Non sorprende quindi che Gesù abbia lasciato un pasto come sua eredità.
Che si tratti del miracoloso pasto della moltitudine, dell’Ultima Cena o del pasto con i discepoli di Emmaus dopo la risurrezione di Gesù, gli scritti del Nuovo Testamento riportano quattro azioni che Gesù compie in ogni caso: prende il pane, il pesce o il vino, recita la preghiera di ringraziamento, spezza il pane e serve il cibo o lo fa passare.
In accordo con il comando di Gesù nell’Ultima Cena: «Fate questo in memoria di me», compiamo queste quattro azioni in ogni celebrazione eucaristica.1
Prendere il pane e il vino – l’offertorio
Durante l’Ultima Cena, Gesù prese il pane e il vino. Nella tradizione ebraico-cristiana, questi prodotti naturali hanno un significato altamente simbolico. Il pane, in quanto alimento di base, simboleggia la vita quotidiana, mentre il vino, in quanto succo d’uva pregiato, è sinonimo di gioia festiva. Entrambi nascono dall’interazione tra uomo e natura.2 Pane e vino simboleggiano l’esistenza umana.
Idealmente, i partecipanti alla celebrazione eucaristica portano all’altare il pane e il vino, altri prodotti naturali o donazioni (in denaro) per i bisognosi. Con i doni, essi portano simbolicamente se stessi, la loro vita quotidiana, i loro problemi e le loro sofferenze, ma anche i loro sforzi creativi, la loro gioia e la loro speranza. Un canto per l’offertorio lo riassume: «Signore, ti portiamo il nostro mondo nel pane e nel vino».3
Andando all’altare, essi affidano a Dio se stessi, i loro simili e il mondo. Con questa forma di partecipazione, esprimono la volontà di unirsi al dono della vita di Gesù e, come il pane e il vino, si lasciano trasformare, guarire e santificare.
Ringraziare– la preghiera eucaristica
Ogni pasto ebraico inizia con una preghiera di lode, la beraka. In essa si ringrazia Dio per i doni della creazione, per l’alleanza con il suo popolo e per la sua opera nella storia del popolo.
Gesù recitava questa preghiera durante le celebrazioni dei suoi pasti. La Chiesa continua questa tradizione, in accordo con la sua missione, nella Preghiera eucaristica, in cui si ringrazia soprattutto Dio per la sua opera in e per Gesù Cristo. La Preghiera eucaristica costituisce il centro e il culmine della celebrazione e dà ad essa nel suo complesso il nome di Eucaristia (greco = ringraziamento).
Secondo la concezione ebraico-cristiana, il ringraziamento è sempre legato al ricordo. Questo non significa guardare nostalgicamente al passato. Ricordando con gratitudine i tempi passati, raccontando come le persone di allora hanno sperimentato l’azione liberatrice di Dio (nel suo popolo e attraverso Gesù), ci incoraggiamo a vicenda che Dio non abbandonerà noi oggi e le generazioni future. Manteniamo viva la speranza della liberazione qui e ora e in modo completo alla fine dei tempi.
Il ricordo nella Preghiera eucaristica culmina nell’appello della comunità: «Annunziamo la tua morte, Signore, e proclamiamo la tua risurrezione nell’attesa della tua venuta».
Ogni volta che commemoriamo la morte e la risurrezione di Gesù Cristo nell’Eucaristia, esprimiamo la convinzione che l’ingiustizia, la violenza e la morte non hanno l’ultima parola, che possono essere superate e che un giorno saranno completamente vinte. Tutti coloro che scendono a patti con l’ingiustizia o usano la violenza come mezzo legittimo di dominio hanno paura di questo messaggio.
L’Eucaristia, come celebrazione di ringraziamento e di ricordo, è rilevante per il presente. Può persino essere dirompente e diventare un «pericoloso promemoria» (Johann Baptist Metz).
Spezzare il pane
I discepoli di Emmaus riconobbero Gesù attraverso lo spezzare del pane. Doveva essere un gesto tipico di Gesù.
Nella Chiesa primitiva, lo spezzare il pane aveva un significato molto più importante di oggi e dava il nome all’intera celebrazione. L’atto poteva durare a lungo, tanto che si cantavano litanie; l’Agnus Dei lo ricorda ancora oggi.
Era un momento speciale all’interno della celebrazione, perché il pane doveva essere diviso, un pane intero doveva essere condiviso in modo che tutti potessero mangiarne. Il pane spezzato simboleggiava la devozione di Gesù. Egli si lasciava spezzare perché tutti potessero partecipare a lui.
A partire dal XII secolo, l’introduzione delle ostie, piccole fette di pane pretagliate, ha fatto sì che si perdesse non solo la forma del pane, ma anche il simbolismo dello spezzare il pane.
Fino a tutto il XX secolo, i credenti della Chiesa cattolica consideravano più importante guardare e adorare Cristo nella forma perfetta di un’ostia rotonda che spezzare e mangiare il pane. Tuttavia, questo non corrispondeva al comando di Gesù: prendete e mangiate!
Il fatto che Gesù si sia lasciato spezzare perché gli altri potessero essere integri e guariti, che abbia rinunciato alla sua integrità corporea perché gli altri potessero essere integrati nella vita, che si sia consumato perché gli altri potessero nutrirsi di lui, rimane una provocazione ancora oggi, soprattutto per le persone che lo seguono.
La distribuzione del pane e del calice – la Comunione
Nell’Ultima Cena, Gesù aggiunge un’altra dimensione alla distribuzione del pane e del vino. Non è solo l’ospite, ma si identifica anche con i doni. Coloro che mangiano dal pane e bevono dal calice ricevono una partecipazione alla persona e al destino di Gesù.
Come il pane e il vino sono incorporati in noi attraverso il consumo, così Cristo dovrebbe vivere in noi e attraverso di noi. Tuttavia, l’incontro e l’unione con Cristo non avviene solo a livello individuale; altrettanto importante, anche se meno frequente nella nostra coscienza, è la dimensione comunitaria, che si esprime nella parola communio (latino = comunità): tutti coloro che mangiano dell’unico pane, che è il corpo di Cristo, sono uniti tra loro per formare una comunità, l’unico corpo di Cristo (cfr. Prima lettera ai Corinzi 10,17).
- Cfr. a riguardo e sulla Liturgia eucaristica nel suo insieme: Gunda Brüske / Josef-Anton Willa: Gedächtnis feiern – Gott verkünden (Studiengang Theologie Band VII: Liturgiewissenschaft). Zürich, Theologischer Verlag, 2° ed. 2016, p. 206-274.
- La preghiera all’offertorio parla del “frutto della terra (o della vite) e del lavoro dell’uomo”. (Messbuch für die Bistümer des deutschen Sprachgebietes. Kleinausgabe 1975. p. 344f.)
- Gotteslob. Katholisches Gebet- und Gesangbuch. ed. 2013, No. 184.
Crediti d’immagine: Copertina: Picnic con pane e vino, Unsplash@kate_gliz / Immagine 1: Il pasto con i discepoli di Emmaus, Mattia Stom, tra il 1620-40 d.C., olio su tela, ora al Musée de Grenoble. Wikimedia Commons / Immagine 2: Sacerdote con ostia spezzata. Unsplash@sbrison / Immagine 3: Gruppo che brinda con vino rosso. Unsplash@kelsoknight
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