Il Venerdì Santo lo sguardo del credente è rivolto alla croce: è qui che il Figlio di Dio è morto di una morte destinata ai criminali, è qui che Dio si riconcilia con l’umanità, è qui che avviene la redenzione. Ma come può l’intera umanità essere redenta attraverso la morte di una sola persona? Perché Dio ha «bisogno» della morte di suo Figlio per la riconciliazione? E perché anche la morte di Gesù sulla croce è descritta come un «sacrificio»
Traduzione dal tedesco: Italo L. Cherubini
La morte di Gesù come evento storico
L’interpretazione della morte di Gesù come sacrificio si è affermata soprattutto nella Chiesa occidentale. Tuttavia, il percorso per arrivare a questo punto è stato tutt’altro che semplice e privo di ambiguità. All’inizio della fede cristiana c’era lo sgomento e la perplessità dei discepoli e delle discepole di Gesù sull’esito della sua vita terrena. Con la sua morte in croce, il suo messaggio del Regno di Dio nascente sembrava essere vanificato. Con Gesù, le speranze di molti di un rapido cambiamento delle condizioni sociali e politiche sono morte sulla croce. Chi era rimasto aveva ora due possibilità: o tornare alla vita precedente e mettere il tempo con Gesù «ad acta» o interpretare la morte in croce in modo tale che, nonostante la sua assurdità, se ne potesse trarre un significato. L’esperienza di molti seguaci di Gesù che la sua morte non ha segnato la fine e che Gesù è stato risuscitato da Dio e vive, li ha spinti a prendere la seconda strada.
Storicamente, ciò che è accaduto può essere riassunto come segue: l’annuncio del regno di Dio da parte di Gesù fu visto dalle autorità ebraiche e dalla potenza occupante romana come una sfida al già fragile ordine politico e religioso. Quando Gesù interferì attivamente con le attività rituali nel tempio di Gerusalemme (cfr. Vangelo di Matteo 21,12), le autorità ebraiche del tempio si sentirono costrette a intervenire per evitare che scoppiasse una rivolta nel centro pulsante della vita religiosa ebraica. Gesù fu consegnato al prefetto romano Ponzio Pilato e da lui condannato a morte come sobillatore politico. I soldati romani gli praticarono la crocifissione, che era considerata dai romani una pena di morte.
La morte di Gesù come sacrificio espiatorio
Questi eventi dovevano essere successivamente inseriti in un contesto il più possibile rigoroso.1 L’interpretazione della morte in croce come sacrificio sostitutivo di espiazione, che ha prevalso nell’ulteriore tradizione cristiana, soprattutto occidentale, ha le sue radici bibliche negli scritti dell’apostolo Paolo. Paolo non ha conosciuto personalmente Gesù, non era presente alla crocifissione e ha scoperto la fede cristiana solo alcuni anni dopo questi eventi. Per illustrare il significato di Gesù e della sua morte, ha tracciato un parallelo con quanto avviene ogni anno nel grande Giorno dell’Espiazione «Yom Kippur» Dio si rivolge (di nuovo) al popolo. In quanto ebreo socializzato, per Paolo il tempio, più precisamente il Santo dei Santi, era il luogo dell’incontro con Dio e della riconciliazione tra Dio e l’umanità. Come credente cristiano, Paolo ha individuato la presenza di Dio nella persona di Gesù Cristo. Così Paolo ha interpretato l’evento della crocifissione di Gesù secondo il rituale del grande Giorno dell’Espiazione: attraverso il sangue di un sacrificio, gli esseri umani vengono purificati da ogni peccato e liberati da tutto ciò che li separa da Dio. Mentre nel culto del tempio ebraico, invece, solo un sacerdote designato a questo scopo può entrare nel Santo dei Santi del tempio una volta all’anno, osservando numerose regole, la croce di Gesù viene eretta sotto gli occhi di tutti e qui Dio diventa accessibile a tutti. Il riferimento al velo del tempio, che viene squarciato al momento della morte di Gesù (cfr. Vangelo di Matteo 27,51), rende evidente questo cambiamento di circostanze.
Nell’immagine dell’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo, l’interpretazione cultuale della morte di Gesù ha continuato a essere presente nella tradizione cristiana. Tuttavia, l’Agnello di Dio che porta il peccato non appare in questo modo nelle Scritture dell’Antico Testamento. Si parla di «agnello di Dio» in riferimento all’agnello pasquale, macellato e mangiato alla vigilia dell’Esodo dall’Egitto e in ricordo di questo evento ogni anno. Tuttavia, questo agnello non ha tolto i peccati. Serviva come ristoro per le persone in fuga. Il suo sangue aveva anche una funzione speciale: gli stipiti delle case dovevano essere spalmati con esso e segnati affinché coloro che si riunivano all’interno fossero risparmiati dalla disgrazia (cfr. Esodo 12).
A differenza dell’agnello, nell’Antico Testamento al cosiddetto «servo di Dio» viene attribuito il compito di portare i peccati degli altri e quindi di espiarli. Questa figura, che non viene descritta nei dettagli, si incontra nel profeta Isaia come una persona che si fa carico della colpa (cfr. Isaia 53,4-5). Quando Gesù viene descritto come l’«agnello di Dio» che porta i peccati del mondo, in questa immagine si fondono due diverse tradizioni ebraiche dell’Antico Testamento: l’animale macellato e la sofferenza che espia i peccati.
La morte di Gesù come destino del profeta giusto
Non solo i riferimenti al culto del tempio hanno avuto un ruolo nell’interpretazione neotestamentaria della morte di Gesù. Laddove la sorte di Gesù è stata associata alla sofferenza del servo di Dio già citato, Gesù è stato inserito nella tradizione dei profeti dell’Antico Testamento (cfr. ad esempio Vangelo di Luca 11, 49-50): Il popolo spesso si infuriava quando essi portavano messaggi in nome di Dio. È successo che i profeti sono stati persino perseguitati e uccisi quando hanno denunciato le strutture di potere dominanti come contrarie al volere di Dio. Anche Gesù può essere collocato in questa tradizione profetica: con il suo messaggio ha provocato resistenza, soprattutto tra le élite. Se Gesù è visto nel ruolo di un profeta giusto, questo può rendere chiaro il significato della sua morte: non solo la morte, ma tutto l’essere, il fare e il soffrire del profeta mandato da Dio è rivelatore, espiatorio e redentore per gli uomini.
La morte di Gesù come prezzo del riscatto
La morte di Gesù è anche descritta in un punto del Nuovo Testamento come un «riscatto» (cfr. 1 Timoteo 2,6). Questa immagine ricorda una pratica dell’Antico Testamento: quando un uomo si indebita, un parente può comprare il suo debito e quindi «riscattarlo». Sulla base di questo motivo, la sostituzione vicaria di una persona per un’altra può essere estesa a tutta l’umanità in Gesù.
L’interpretazione della morte di Gesù come pagamento di un riscatto ha assunto forme talvolta bizzarre nella storia successiva del cristianesimo. Nel III secolo d.C., ad esempio, Origene sviluppò la tesi che il diavolo avesse diritto all’anima delle persone attraverso il loro peccato. Dio ha dovuto usare Gesù come riscatto per comprare le anime umane da Satana. Dal punto di vista odierno, l’idea che il diavolo abbia un tale potere su Dio da poter chiedere un tale riscatto è particolarmente sconcertante.
La morte di Gesù come conseguenza della sua vita
Gesù stesso non vedeva la (sua) morte espiatoria come una condizione per la riconciliazione con Dio. Nella sua vita si è preoccupato di annunciare alla gente che il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino (cfr. Vangelo di Marco 1,15). Anche prima della sua morte, Gesù era in grado di perdonare i peccati delle persone e di salvarle (cfr. ad esempio il Vangelo di Marco 2,5). Anche nella preghiera che Gesù insegna ai suoi discepoli, la richiesta di perdono è rivolta direttamente al Padre (cfr. Vangelo di Matteo 6,12). Che Dio possa perdonare i debiti non presuppone la morte del Figlio. Si potrebbe anche dire che con il suo annuncio Gesù volesse superare la logica del sacrificio che era comune a quel tempo. Facendo conoscere e sperimentare alle persone che Dio si rivolge a loro incondizionatamente, ha anche parlato contro una gerarchia cultuale: non c’è bisogno di una mediazione sacerdotale, ognuno può comunicare direttamente con l’«abba», con il padre. Il cammino verso Dio non passa attraverso alcuni rituali, ma attraverso la pratica del diritto e della giustizia sulle orme di Gesù. Che questo percorso possa essere pericoloso per la vita è dimostrato dal destino di Gesù stesso: chi si batte con coraggio e coerenza per i poveri e gli oppressi rischia la persecuzione, l’ostracismo e persino la morte.
La morte di Gesù come luogo della rivelazione di Dio
Gesù non ha cercato la morte in croce, piuttosto è stata la conseguenza del suo impegno non violento per il bene. Tuttavia, la ferma fiducia che la promessa di Dio sia vera e che il suo regno stia effettivamente sorgendo dà speranza oltre la morte terrena. La morte di Gesù diventa così, come d’altronde anche la sua vita, un segno dell’amore assoluto e incondizionato di Dio: il nome di Gesù «Emmanuel» (Dio con noi, cfr. Vangelo di Matteo 1,23) si rivela un messaggio di sostegno per tutta l’umanità, fino alla morte. E poiché Dio è presente anche nel punto più basso dell’esistenza umana, anche morire può annunciare una vita più forte della morte. In questo senso, Gesù è morto come essere umano «con noi» e come Figlio di Dio «per noi».
Dal punto di vista della fede nella risurrezione di Gesù, la morte in croce non significa la fine, al contrario: nella morte in croce si dimostra il messaggio di Gesù di un Dio vicino che ci accompagna e ci sopporta anche nell’ora più buia della vita. La croce suggerisce che nulla di umano è estraneo a Dio e che la sua forza vitale creativa cresce oltre l’orizzonte umano e crea un nuovo inizio.
- Si veda anche quanto segue: Lucia Kremer/Daniel Lanzinger: Opfer, in: Christine Büchner/Gerrit Spallek (ed.): Auf den Punkt gebracht. Grundbegriffe der Theologie, Ostfildern 2017, 187-205.
Crediti d’immagine: Immagine di copertina: Edvard Munch, Golgota. Olio su tela (1900), (particolare) Museo Munch di Oslo. Wikimedia / Immagine 1: Una croce di ferro su un muro di arenaria a Roma. Unsplash@gabiontheroad / Immagine 2: Un agnello in piedi nella luce. Unsplash@totosia / Immagine 3: Pagamento del riscatto. Viene consegnato un rotolo di denaro. Unsplash@gooner / Immagine 4: La corona di spine e la croce. La croce è vuota. Unsplash@smaelparamo
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